L'articolo Ri-scatti, un archivio romantico di foto perdute tornate a vivere proviene da Cosebelle magazine - Femminile, indipendente, brillante.
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Dicembre, tutto è in festa. Al calar del sole le scintillanti luminarie prendono il posto delle stelle e illuminano il sentiero che conduce ad uno dei giorni più attesi dell’anno, il Natale.
Quando pensiamo a questo evento, i primi colori che ci si proiettano davanti sono il rosso, il bianco e l’oro. Ma noi crediamo che le convenzioni a volte creino dei limiti e non consentano alla fantasia di trovare il suo spazio. Perché non prendere in considerazione l’idea di un Natale diverso sia per forme, colori ma anche per significato?
Quale giorno migliore per pensare agli altri ma anche a noi stesse?
Allora accogliti, rendi il tuo cuore leggero e abbraccia quello di qualcun altro. Fallo con la stessa delicatezza con cui la neve si posa sui tetti e sii avvolgente quanto la coperta in cotone di Madam Stoltz.
E se hai deciso di dichiarare il tuo amore ma non trovi le parole adatte, il morbido cuscino serigrafato e cucito a mano su tessuto by Babel o la linografia di Nice and the Fox inserita nella cornice color rame (Madam Stoltz), potrebbero parlare al posto tuo.
Rendi l’atmosfera gioiosa e frizzante con le girandole decorative del brand Meri Meri, la ghirlanda e gli addobbi in carta (tutto Madam Stoltz), ma non dimenticare di spolverare sopra al tuo abete anche i due ingredienti magici che ti daranno la forza di tramutare alcuni dei tuoi sogni in realtà: il coraggio e la volontà.
Trasforma il mese di dicembre nel tuo dietro le quinte, in previsione di un 2018 all’insegna del cambiamento. Dedicalo alla celebrazione degli obiettivi che hai raggiunto e alla ripianificazione di quelli che ti sono sfuggiti di mano. Impara a scegliere per te stessa. La spilla serigrafata (Babel) ti ricorderà che nessuno potrà dirti cosa dovrai essere o diventare, perché sei libera di reinventarti quante volte vuoi.
Infine, prepara i bagagli per quello che sarà un meraviglioso viaggio di scoperta e, se vuoi prendere alla lettera la parola viaggio, le mappe illustrate da artisti diversi di Herb Lester con in comune tour inediti e luoghi particolari, o la guida Monocle, possono fare al caso tuo o di chi ti accompagnerà in questa meravigliosa avventura.
Fotografie di Stef Stefany. Testo di Deborah Della Penna. L’approfondimento su Babel del Buy buy baby.
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Grazia Neri, famosa per aver dato il nome e l’anima nel 1966 alla prima agenzia di fotografia fondata in Italia, ha scritto un libro – titolo, La mia fotografia – per raccontare di sé e del suo mondo, e anche un po’ del nostro.
Ho aperto questo libro e ho ritrovato mia madre, mia nonna, l’altra nonna, quella con le camicie col fiocco che ho sempre detestato – non le camicie, lei. E ora invece le camice le compro, le indosso, fanno sì mi dicano che mi vesto “sempre bene” anche se non é vero, e che ci sia un po’ di lei. Com’è successo? È successo riprendendo in mano le fotografie, ritrovando gli occhi, le case, le pieghe dei vestiti, i profumi.
Ho ritrovato in queste pagine anche quel magone a metà gola che Grazia Neri descrive bene, quando pensi non sono all’altezza, faccio errori che non vorrei ma non so evitare, ma che ho scritto su questo messaggio whatsapp, non ce la faccio. Le volte in cui prima o dopo un appuntamento con qualcuno in cui brillano gli occhi, o dopo un colloquio di lavoro andato bene, ho pensato ma come hanno fatto a pensare di scegliere proprio me, mi sono comportata così da stupida.
In un libro ritrovare il racconto di una vita e quindi anche gli ostacoli, le sfide, i sorrisi e un caleidoscopio di incontri, nomi, storie nella Storia, strumenti per raccontare il mondo, la guerra, il quotidiano, la cronaca, la vita di tutti i giorni e persino la moda. Fino ad internet, il digitale e il copyright.
Grazia Neri e la sua agenzia. Un’agenzia nata in uno studio di 50 metri quadri che alla fine si ritrova con uno spazio di mille. Trova il modo di assumere i collaboratori, di raccontarne la persona e il lavoro, con lo sguardo preciso, accogliente, affettuoso. Grazia Neri che è una donna, anzi lo è diventata. È stata una bambina che perde il padre e che vive la guerra, i bombardamenti e le mancanze: il dolore come lo si vive da piccoli, senza bisogno di proteggersi ma nel tentativo dolcissimo di proteggere gli altri, soprattutto sua madre. Una madre magrissima e bella che la porta al bar il sabato, che si cura di lei e di sé ma si preoccupa perché legge troppo. E poi la passione per la Francia, il primo lavoro, e un posto come giornalista rifiutato tra le proteste, fino alla decisione un po’ folle ma perfetta – come quasi tutte le decisioni folli, prese con un caro amico, di quelli che non ti mollano mai e ti sanno dire le cose anche come sberle quando serve – di aprire un’agenzia di fotografia, di entrare in un mondo allora prettamente maschile, di vendere foto e rappresentare i fotografi con la convinzione che sia una professione da trattare con amore, da scoprire, e presentare, da rendere accessibile.
E diventa la donna che è, e che dà molte opportunità alle altre donne: le assume, le rappresenta, le vive come amiche, ne crea le icone, ma senza mai perdere la libertà di essere prima di tutto Grazia Neri. Una persona, una madre, una moglie, una figlia, un’amica e una professionista. Senza bisogno di rivendicare ogni secondo l’essere femminile, senza chiudersi in una gabbia. Leggi il libro ed è chiaramente scritto da una lei, per lo sguardo, per la maternità con la quale racconta gli altri e se stessa, l’amore, gli amici, e anche gli errori e le cadute, i lutti o i confronti duri che lasciano segni. Ma non dice mai «sono stata la prima ad aver aperto un’agenzia di fotografia in Italia», non è il punto, non è il senso, sembra non interessarle per nulla ad essere sinceri. Racconta solo la sua vita, la pazza idea di lanciarsi in un’attività allora molto meno ossessionante di ora, meno accessibile, senza regole, e di farlo senza una lira, come scrive e sembra vederne il sorriso.
Grazia Neri non scrive un racconto, ma dedica singoli capitoli alla sua storia, alle persone del cuore, ai fotografi e ai temi che l’hanno colpita durante gli anni. Come evolve il mondo della fotografia nel raccontare il mondo vero, quello dei conflitti, della violenza, dell’Italia, della cronaca – un capitolo a sé parla dei reporter di guerra, di come riescano a non perdere la speranza e la fiducia (stupita che non diventino cinici e disillusi) pur avendo documentato gli orrori, il peggio che il genere umano più mostrare di sé. E di una loro paura: che il loro lavoro duro possa perdere autenticità, venire strumentalizzato e perdere senso. Ma parla anche del mondo finto dei vip, dei personaggi famosi, delle vite pubbliche e degli scoop giornalistici, delle cose piccole e ordinarie.
Pensandoci ora, nei nostri tempi nei quali un’immagine può diventare virale, può creare mostri o icone positive in poche ore, dove siamo tutti fotografi un po’ ossessionati dagli specchi, dai luoghi, dal dire sono qui, sono con. Epoca di velocità, connessioni e condivisioni, che fine hanno fatto i fotografi? Il lavoro del fotografo potrebbe sembrare diventato altro.
Invece nella storia di Grazia Neri, (che ci tiene a sottolineare di non essere mai stata una fotografa) si ritrova il senso che la fotografia può e sa avere anche oggi, quando racconta eventi e persone, va a cercare, scava, documenta e seziona, ci costringe a guardare o ci da il piacere di scoprire.
E il ruolo che una donna può avere, forse “deve” avere. Un po’ meno ossessionate da come e cosa dobbiamo essere, ma solo molto vive. Libere di non dover rivendicare ogni secondo di poter o non poter fare qualcosa, ma solo di provare a farle, e di alzare la voce per chi non può.
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Unire arte, danza e fotografia in un unico progetto puntando al tempo stesso ad abbattere con grazia e delicatezza le barriere di classe, di razza e tutti quegli stereotipi che – purtroppo – da troppo tempo caratterizzano il mondo della danza classica.
Questo è in sintesi quello che ha fatto Misty Copeland, una donna forte e determinata che dopo un passato difficile e un lungo percorso in punta di piedi fra sudore e fatica ha realizzato un sogno ed è diventata la prima ballerina afro-americana a ricoprire il ruolo di étoile dell’American Ballet Theatre di New York.
Una conquista che l’ha spinta a impegnarsi in altri progetti dentro e fuori dal palcoscenico: dalla sua autobiografia “Life in motion” fino alla messa in scena de Il lago dei cigni nel ruolo di Odette, Misty continua ad esplorare il mondo della danza per raccontarne le mille sfaccettature a un pubblico sempre più ampio, per dimostrare che la danza è accessibile a tutti, a prescindere dalla razza o dal colore della pelle, e che con impegno e dedizione i sogni si possono davvero realizzare.
Per dimostrarlo stavolta si è affidata a Degas e alle sue ballerine facendosi ritrarre da Ken Browar e Deborah Ory, fotografi del NYC Dance Project, per ricreare alcuni dei dipinti e delle sculture più famosi del celebre artista riproponendo scene, posizioni e costumi e mostrando così il legame forte e reale fra l’arte, l’artista e l’opera.
Edgar Degas ha lavorato alle sue ballerine raccontando la danza in chiave moderna, con una sguardo nuovo a questo mondo, uno sguardo concreto e reale che ha mostrato i dietro le quinte, i momenti di pausa e di aggregazione fra le ballerine, i dettagli degli abiti e i movimenti immortalando un momento ma facendo percepire al contempo il movimento e la fluidità che racchiudeva. Una bellezza meno eterea e meno poetica forse ma certamente più forte, la stessa bellezza rappresentata da una ballerina nuova e contemporanea, capace di distruggere gli stereotipi proprio come Misty.
Foto di Ken Browar & Deborah Ory – Fonte harpersbazaar.com
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Giornate che si allungano, neofiti della corsa che attraversano le strada senza guardare, giornali e tv che iniziano a proporre servizi dedicati al dimagrimento facile-veloce-nei punti giusti e amici che prenotano trattamenti dall’estetista per prepararsi all’abbronzatura sono i classici esempi di panico da inizio della bella stagione. Eppure c’è un modo così semplice per evitare la prova costume: organizzare un viaggio in Islanda.
L’Islanda è un luogo che a mio avviso è molto difficile non amare, certo se siete tipi da tropici tutto l’anno mi direte “fa freddo, c’è sempre vento, ci sono solo vulcani, ghiaccio e strade deserte”, il che riassume in linea di massima la geografia dell’isola, eppure rimane una terra che ti distrugge con la sua potente bellezza. Quest’isola a nord dell’Europa è per me una destinazione dove il silenzio è assordante, tutti i sensi si amplificano e non riesco a smettere di farmi mille domande sulla potenza della natura. Per condividere la meraviglia di questa terra di ghiaccio e fuoco, nelle prossime settimane leggerete altri due post che vi aiuteranno ad organizzare un viaggio responsabile, sicuro e rispettoso. Oggi ci occupiamo di organizzare mentalmente la valigia.
Uno zaino, ovviamente! Ah, volete per forza partire con il trolley che ha le quattro ruote che si muovono con la forza del pensiero? Procedete pure, però mandatemi un video di quando cercherete di trascinarlo su prati o stradine non asfaltate. Uno zaino da trekking capiente circa 60 litri è perfetto per contenere tutto quello che serve per 7/15 giorni in Islanda, a patto che abbiate anche uno zaino più piccolo dove mettere tutti gli oggetti che servono a portata di mano. Macchina fotografica, treppiede, occhiali da sole (sì, anche in pieno inverno, avete presente l’effetto accecante del sole che si riflette su distese infinite di neve bianchissima?), berretto e guanti vanno in quest’ultimo.
Estate o Inverno la differenza di temperatura ovviamente c’è, ma non crediate che il semplice fatto di andare in Islanda ad Agosto implichi un incoraggiante bagaglio di tshirt e pantaloncini corti. Il classico, miracoloso abbigliamento a cipolla è il salvavita di ogni stagione in Islanda, dove il vento non smette (quasi) mai di soffiare.
Inverno: se decidete di ignorare il primo strato (maglia a maniche lunghe e leggins) in materiale termico siete dei folli. E’ indispensabile così come lo sono i guanti anti-vento, i pantaloni e la giaccia da sci/neve e qualche buon pile. Completa il tutto una camicia in flanella tra il primo strato e il pile: ora vi starà venendo caldo solo al pensiero, ma quando cercherete di capire qual è il vostro cottage scendendo dall’auto ogni 50 metri sotto ad una bufera di neve, mi ringrazierete.
Estate: cambia la pesantezza dei capi ma non la stratificazione: tshirt tecnica, camicia (flanella o jeans), pile. E sotto leggins e pantaloni tecnici/da trekking. La vestizione ogni mattina in Islanda richiede una certa organizzazione! Un paio di sneakers può tornare utile nelle lunghe ore in auto e una mascherina per dormire può evitare di svegliarvi alle 2 di notte quando il sole è già alto. Quando avrete finito di vestirvi mancherà ancora un’ultimo ma indispensabile strato: una giacca di media pesantezza (non da neve ma più calda di un piumino 100 grammi, per intenderci). Quest’ultima meglio se antivento e impermeabile.
Sempre: calzini tecnici, scarponcini da trekking impermeabili (fondamentale), infradito in gomma, costume da bagno (volete rinunciare a questo oppure questo? Beh sì, allora potete lasciarlo a casa), sciarpa/scaldacollo, berretto di lana.
Lasciate a casa jeans (pesano in valigia, non tengono caldo, se si bagnano non ci mettono una vita ad asciugarsi) e ombrello (lo vedreste distrutto in pochi minuti). Inutili anche sandali e qualsiasi abbigliamento ricercato (vestiti o gonne). Quasi inutili i pantaloncini corti.
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Abbiamo già accennato al progetto Women With Tattoos in un articolo dello scorso anno. Era nato come un progetto fotografico con un inizio e una fine, ma poi a quanto pare le due autrici hanno deciso di continuare il loro percorso di ricerca e di scoperta all’interno del mondo delle donne e dei loro tatuaggi. Abbiamo intervistato la fotografa del progetto, Eleni Stefanou, per farci raccontare le sue impressioni sul rapporto che lega le donne e i segni indelebili sulla pelle.
Cosebelle: Sappiamo che sei una fotografa di talento e che hai iniziato questo progetto qualche anno fa insieme a Christina Theisen. Raccontaci perché avete scelto nello specifico le donne e i loro tatuaggi e non un più generico “persone tatuate”.
Eleni Stefanou: Mi faccio questa domanda di tanto in tanto anche io e questa è la risposta che semplicemente continuo a darmi: la verità è che non mi interessa molto capire la relazione che gli uomini hanno con i tatuaggi. Forse è perché mi identifico di più con le donne e quindi mi sento naturalmente più curiosa di sentire le loro storie. Mi interessa capire il ruolo che giocano i tatuaggi nel ridefinire le regole di genere, per esempio il modo in cui riformulano quello che noi consideriamo come “femminile”. Mi interessa anche capire come i tatuaggi aiutano le donne ad accrescere la loro fiducia in sé stesse. Questo progetto mi ha permesso di parlare con le donne di argomenti a cui tengo molto.
Tu hai tatuaggi? Se sì, raccontaci qualcosa in proposito e se no, beh, questo sì che è interessante considerato il tuo progetto! Perché no?
Sì, ho un tatuaggio sul lato destro del costato. L’ho fatto 5 anni fa, dopo aver compiuto 25 anni. È la forma geometrica di un prisma in nero e grigio. Pianifico il mio secondo da anni ormai. Ci metto molto a sviluppare l’idea e a trovare il tatuatore adatto ad interpretarlo. Nel mio caso i tatuaggi hanno un ruolo molto intimo: mi ricordano dei miei valori. Vorrei tatuarmi simboli che abbiano un significato in merito ai valori che segnano il mio percorso nella vita. Rappresentando simbolicamente questi valori prometto a me stessa di tenere loro fede e di superare qualunque ostacolo o inibizione si frapponga tra me e ciò per cui voglio lottare nella vita.
La storia ci racconta che i tatuaggi venivano spesso usati in riti di passaggio, simboleggiando e documentando le diverse fasi della vita. Pensi che questo aspetto sia stato in qualche modo mantenuto anche in questa “età moderna” dei tatuaggi?
Oh, sì, assolutamente. La maggior parte delle donne che ho fotografato parla dei propri tatuaggi in questo modo. I tatuaggi assumono un significato simbolico come segni sul corpo, ma anche il processo del tatuarsi è molto importante. Molte persone ne parlano come un’esperienza rituale da cui si riemerge cambiati. Questo naturalmente è in parte dovuto alle endorfine rilasciate dal corpo, per cui lo stato mentale è fisicamente alterato.
Non sono una storica dei tatuaggi né un’antropologa, ma penso che forse la differenza di questa “età moderna” della cultura del tatuaggio nella civiltà occidentale sia che è molto radicata nell’individualismo. Spesso ci si tatua per creare una propria unica identità visiva che ci distingua. Invece in certe culture, in particolar modo in quelle indigene, i tatuaggi ricoprono un ruolo specifico dal punto di vista simbolico che viene condiviso dalla comunità.
Un elemento ricorrente nelle interviste sono i tatuaggi come parte di un processo di guarigione per traumi fisici o emotivi. È così che le donne riprendono il controllo delle loro vita dopo un momento difficile, prendendo il controllo in modo permanente sul loro corpo?
Questo è un aspetto che mi interessa davvero comprendere. Penso che tu abbia ragione quando parli di controllo, ma forse una definizione ancora più adatta è dire che i tatuaggi ci danno potere e consapevolezza. Possono avere un fine estetico, facendoci sentire belle, possono dire al mondo: “Io sono ciò che sono e rifiuto la vostra visione limitata di come una donna dovrebbe apparire” e possono anche essere un modo per elaborare un trauma attraverso un’esperienza fisica. Il corpo non è soltanto un mezzo, come tendiamo a pensare in Occidente; è strettamente interconnesso al nostro stato mentale ed emotivo. Esprimere noi stesse attraverso i nostri corpi può diventare uno strumento molto potente e permetterci di superare certe situazioni. Una delle donne che ho intervistato, Gabriella, ha detto una cosa molto bella sul momento in cui si stava tatuando. Ha detto: “è stato come se l’ago stesse svelando queste immagini sul mio braccio, invece che aggiungerle”.
In quanto fotografa hai sicuramente occhio per ciò che è bello. Pensi che i tatuaggi abbiano creato dei nuovi standard di bellezza?
È molto gentile da parte tua, grazie. È interessante perché da una parte ci sono persone come Rihanna che danno il via a mode nel campo dei tatuaggi, ma ci sono anche quei momenti come quando una celebrità come Cheryl Cole ha scioccato il mondo con il suo enorme tatuaggio di rose sul fondo della schiena. Penso che in questi momenti sia evidente quanto, come società, ci importi dell’aspetto delle donne e non riusciamo ad accettare del tutto quando certi standard di bellezza vengono trasgrediti. Quindi la mia risposta alla domanda è sì e no.
L'articolo Women With Tattoos: un progetto fotografico proviene da Cosebelle magazine - Femminile, indipendente, brillante.
Alessandro Rota è un ragazzo di 28 anni che ho conosciuto un giorno in estate non tanto tempo fa. Mentre mangiavo un gelato mi ha raccontato del suo lavoro. Mi è venuto un senso di vertigine.
Mi sono ripromessa che nel 2016 avrei cercato di trattare solo argomenti che possono in qualche modo ispirare in maniera positiva, proponendo nuove storie, impressioni. Ragionare di più e far riaffiorare alla memoria notizie che spesso finiscono in secondo piano. Così mi sono ricordata di quelle persone che segui sui social, che vivono un po’ quelle imprese impossibili, distanti da te anni luce. Per questo motivo ho deciso di chiamarlo su Skype. Io da Roma, lui da Erbil, una città nella regione del Kurdistan in Iraq, a 77 km dallo Stato dell’Isis.
Alessandro lavora come fotogiornalista freelance e negli ultimi anni ha documentato le condizioni difficili in molti paesi (Afghanistan, Iraq, Kurdistan, Iran, Libano, Somalia, Sud Sudan, Turchia, Kenya, Indonesia, Zambia e Tanzania) e ha catturato storie di attualità, spesso sulla condizione femminile. Un mestiere che non ti permette di porre nulla in secondo piano, dare per scontato non è contemplato. Pubblicato da una lunga lista di testate nazionali ed estere, dal National Geographic al Corriere della Sera a Internazionale. Quando al telefono mi ha raccontato le situazioni più complesse in cui si è ritrovato, mi sono venuti i brividi, non solo per i racconti delle bombe, dei volti, ma anche per la quotidianità. «Ogni situazione ha le sue complessità, la sicurezza, il tempo, la luce, la predisposizione di un soggetto a confidare i propri segreti. È sempre tutto diverso e per questo molto interessante» mi dice al telefono. Mi ha raccontato di aver visto partorire una ragazzina in Sud Sudan, di come è stato difficile e allo stesso tempo spontaneo parlare di vita e trovarsi di fronte ad una situazione così intima e forte. Alessandro ha deciso di racchiudere i suoi scatti in un progetto nuovo, un libro fotografico di cui noi abbiamo in anteprima qualche pagina in fondo all’articolo.
Cosebelle: Com’è nata la passione per il fotogiornalismo?
Alessandro: Mi sono innamorato della macchina fotografica mentre studiavo Disegno Industriale al Politecnico di Milano, ma ho scoperto che lo still life non era il mio genere. Mi piace l’azione e credo che la fotografia in questo caso possa avere un ruolo importante nel far riflettere le nostre coscienze… o per lo meno così è stato per me subito dopo che ho osservato le prime fotografie di reportage.
Com’è nata questa sensibilità per la situazione femminile? In Turchia in che modo ti sei relazionato con le famiglie?
Avevo appena finito di lavorare a due progetti molto faticosi a livello personale, in Sud-Sudan e in Somalia. Avevo bisogno di lavorare a qualcosa di più leggero ma al contempo non volevo perdere di vista quanto avevo appreso della Turchia contemporanea, così ho deciso di raccontare la storie dei femminicidi in un paese per certi versi tanto vicino a noi europei ma per altri abbastanza diverso per quanto riguarda i valori cardine della nostra società, e con questo non voglio dire che ritengo la nostra società perfetta, anzi. Con le famiglie è stato tutto molto semplice, grazie al supporto dell’associazione Kadin Cinayetlerini Durduracagiz (tradotto in We Will Stop Murder of Women) che con loro lavora da diverso tempo. Mi hanno subito accolto per quello che sono, un reporter che voleva raccontare la loro storia dal loro punto di vista.
La Turchia è ancora, ufficialmente, uno stato laico. Non so se hai visto il film Mustang, ma dimostra che non è così, soprattutto nelle parti più interne del Paese. Qual è stata la realtà che ti sei trovato davanti? Esiste una Turchia laica?
Purtroppo non lo ho visto, ma la Turchia, soprattutto la regione dell’Anatolia, zona più profonda del paese, ha un forte spirito religioso. Ma sicuramente esiste una parte che protende a valori laici e per così dire “europei” o occidentali. La società turca è molto variopinta e davvero un affascinante mix di culture diverse che dividono lo stesso territorio.
I reportage in Sud Sudan sono molto forti, è una guerra complessa che dura da decenni, come ti sei trovato lì e com’è nato il reportage sulla maternità? Cosa ti hanno raccontato le donne sudanesi?
La guerra in quei territori dura da cinquant’anni. La popolazione civile è allo stremo e benché cambino le bandiere, le dinamiche orrende della guerra non mutano. In quelle regioni serve la pace e raccontare la maternità in zone tanto ostili mi è sembrato un modo di dare un barlume di speranza ad un paese martoriato da lotte di potere. Il lavoro è nato dalla stretta collaborazione con la Ong Ccm (Organizzazione non governativa del Comitato Collaborazione Medica) e grazie a dei fondi della comunità europea.
La donna nelle situazioni di guerra è sempre penalizzata, ancora di più se madre. Quali sono le difficoltà di una donna nel Sud Sudan? Chi sono i suoi nemici? Credi che questa situazione sarebbe molto differente senza conflitto?
In Sud-Sudan la donna non ha gli stessi diritti di uomo, basti pensare che la poligamia è largamente accettata, ma solo da parte dell’uomo. Le mogli si comprano, letteralmente, e il marito deve risarcire alla tribù della moglie un numero preciso di mucche. Un patto stabilito in accordo con il padre della donna e la loro tribù prima del matrimonio. Il conflitto sicuramente peggiora ulteriormente le cose, i numeri dei casi di stupro sono al limite del credibile.
Le fotografie scattate in condizioni di guerra pensi che possano servire a cambiare l’opinione di chi le osserva?
Che una fotografia, un’immagine, una testimonianza possano fermare una guerra è un’idea molto romantica che spesso i reporter di guerra inseguono. Sicuramente la fotografia ha cambiato una vita, la mia, e così spero di fare altrettanto ad altri attraverso la mia fotografia. Spesso però è un po’ frustrante non avere un ritorno immediato e poter “misurare” quanto il proprio lavoro sia servito a rendere al pubblico la complessità del mondo che ci circonda; eppure sono certo che il mondo si cambi una testa alla volta.
Puoi trovare tutti i progetti fotografici di Alessandro Rota e seguire i suoi spostamenti sul suo sito: http://alessandrorota.photoshelter.com/
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Se abiti sul confine, molti dei tuoi compagni di classe, vicini di casa e amici avranno scelto di lavorare dall’altra parte della dogana. Saranno dei frontalieri. Una cosa normalissima per me e per Fabrizio che siamo nati e cresciuti a Verbania, sul Lago Maggiore, che comprende sia l’Italia che la Svizzera.
In Canton Ticino, Svizzera, si contano attualmente oltre 62.000 presenze di lavoro frontaliere italiano. Verbania, come molte privince tra Piemonte e Lombardia, tocca il confine. Lavorare significa accettare di dividersi tra due stati, attraversare ogni mattina una dogana e sentirsi uno straniero, con le problematiche che si creano a causa del razzismo e del leghismo. Tra il Ticino e l’Italia non c’è così tanta differenza, si parla la stessa lingua, si condivide un bellissimo lago ma nonostante questo nella politica e nell’integrazione ci si scontra con un muro, un confine netto, inteso come una vera e propria divisione.
Diary of an Italian Borderworker è un progetto del fotografo Fabrizio Albertini, un racconto lungo le strade tortuose attraversate dai frontalieri. Un tema attualissimo dopo il referendum svizzero dello scorso 25 settembre, proposto dall’Udc e Lega Ticinese. «Un rapporto tra territorio e realtà lavorativa oltre il contesto occupazionale. È un viaggio che riporta la percezione di un paesaggio confinante e straniero». Le fotografie di Fabrizio, sospese, mostrano i luoghi, le persone e i loro dettagli del territorio dal punto di vista soggettivo, di chi è nato e cresciuto su un confine. Diary of an Italian Borderworker è quasi concluso, sta raccogliendo gli ultimi fondi attraverso il crowdfunding di KissKissBankBank per ultimare la pubblicazione del progetto, suo secondo libro per Skinnerboox.
«Strada Statale 34, Lago Maggiore. È una bella giornata, finalmente. Il “Nulla da dichiarare” l’ho appeso allo specchietto retrovisore. Dogana. Scalo in seconda. La guardia di confine mi squadra velocemente. “Ok”. Alzo appena la mano dal volante. “Grazie”, non lo dico. Basta un cenno. Svizzera, Canton Ticino. Seconda, terza, quarta. […] Non ho fatto molta strada da casa ma tutto è già cambiato. Sono i dettagli che non riconosco. Non mi ci sono ancora abituato. I colori, le case, le scuole, i bar, il cibo, le automobili, i vestiti, la gente, questa pompa di benzina e tutto il resto. Mi sento distante. Sono molto lontano dal mio paese. Mi sento straniero.»
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È iniziato il conto alla rovescia verso il Natale, ma io mi sono ritagliata un po’ di tempo per vivere questi ultimi giorni d’autunno attraverso il mirino della mia nuova Lomo Instant.
Per gli amanti della fotografia istantanea e delle foto a pellicola, che trovano un po’ limitanti le simpatiche macchine istantanee già in commercio, la macchina targata Lomo potrebbe essere un perfetto regalo per il Natale in arrivo perché ha alcune funzionalità che non sono così comuni!
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Nuovo Buy buy baby edizione speciale per “Idee per i regali di Natale”, oggi tocca a Cheerz! Supponiamo che vogliate un regalo unico, personalizzato, un po’ romantico per fidanzati e fidanzate oppure pieno di significato per amici e famiglia. Supponiamo anche che, in fondo, vogliate anche farvi un auto regalo bellissimo visto che ci siete. La soluzione? Cheerz, il sito che permette di stampare foto di ogni tipo in tantissimi formati differenti, soprattutto quelle che giacciono anni e anni negli smartphone. Lo so che le avete lì da anni, non le volete cancellare perché sono ricordi, ma, diciamoci la verità, ingolfano il telefono, non le riguardate mai e ci vuole troppo tempo per lo scroll di 4000 foto (sì, io ne ho davvero così tante nel mio smartphone). Adesso non avrete più scuse: stampate i vostri ricordi prima che spariscano nel gorgo di backup finiti male, smartphone smarriti o rotti, cartelle mai riaperte, e regalateli per questo Natale 2016 risparmiando.
Cheerz può essere usato comodamente tramite app o sito web, scegliete che formato volete per le vostre foto tra fotolibri, polaroid in diverse dimensioni, calendari, calamite, poster, segnalibri etc etc. Vi collegate creando il profilo utente e selezionate tutto quello che volete stampare. Potete caricare da pc, da smartphone o da tablet, ma anche direttamente dai profili social come ho fatto io, che ho creato la mia Cheerz box tramite Instagram in 5 minuti netti.
Per Natale, poi, la Cheerz box è anche in edizione speciale, per cui avrete 30-45 in stile vintage con colore dello sfondo a vostra, una scritta da metterci sotto e procedete con l’ordine. Non dovrete nemmeno pensare a carta regalo, fiocchi, nastri, è tutto già compreso nel prezzo e la confezione è carinissima. Preferite il classico aspetto da Polaroid? C’è la box Polaroid 3000. La consegna avviene in 7 giorni lavorativi, scartate il pacco e mettetelo già sotto l’albero.
Se volete provare il servizio Cheerz o fare già i primi regali di Natale in super anticipo andate su app o sito e usate il codice COSEBELLE (valido fino al 18 Dicembre) per avere un 15% di sconto su tutto.
Preparate gli smartphone, scaricate l’app e preparate i vostri regali fotografici. Quest’anno in quanto ad originalità non vi batte proprio nessuno.
Cheerz: Sito ufficiale | Facebook | Instagram
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Dal 28 settembre al 7 ottobre Milano Film Festival torna in città. Il quartier generale del Festival sarà Piazza XXV Aprile, con un allestimento speciale che ospiterà da mattino a sera le aree info-point, bar e ristori), le feste all’aria aperta, i dj-set, i concerti dal vivo. Da lì, il Festival arriverà a Spazio Cinema Anteo, BASE Milano, Piccolo Teatro Milano, Studio Melato, Spazio Oberdan, Palazzo Litta e Cascina Cuccagna. My Screen, una nuova sezione interamente dedicata ai teenager coinvolgerà gli artisti, youtuber e influencer più conosciuti del panorama teen. Grazie Maestro!, il nuovo premio dedicato alle professioni del cinema fondamentali nella realizzazione delle produzioni audiovisive, ma spesso lontane dai riflettori. Verrà omaggiato Lamberto Caimi, classe 1930, storico direttore della fotografia di molti film di Ermanno Olmi.
Dove&Quando: Milano, Piazza XXV Aprile / fino al 07 ottobre / maggiori info qui e su Facebook
23 mostre, oltre 50 ospiti, 4 weekend, 5 percorsi espositivi e il World Report Award 2018 che si arricchisce di tre nuove sezioni. Il Festival della Fotografia Etica aspetta i suoi visitatori per la sua nona edizione con incontri, letture portfolio, workshop, presentazione di libri, concerti e ovviamente tanto, tantissimo fotogiornalismo.
Dove&Quando: Lodi / 6 – 28 ottobre / maggiori informazioni su mostre, workshop e biglietti sul sito e su Facebook
Milano Wine Week nasce da un’idea di Federico Gordini. La “settimana del vino” ha il suo cuore pulsante a Palazzo Bovara, in Corso Venezia, dove si alterneranno eventi serali, degustazioni, masterclass e presentazioni. Il progetto punta a creare un momento annuale dedicato al mondo del vino che coinvolga tutti gli interlocutori che, a vario titolo, se ne occupano. Di qui anche il coinvolgimento attivo nella manifestazione di numerosissime attività di ristorazione e somministrazione e di tutto il mondo delle enoteche e dei wine bar con molteplici iniziative che interesseranno l’intera città. Occhi puntati in particolare su due “distretti”: Brera – Garibaldi – Solferino, che si trasforma nel Franciacorta Wine District, e Porta Romana, che invece è appannaggio del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese e del Distretto dei Produttori di Qualità dell’Oltrepò Pavese. In entrambi i casi i quartieri saranno identificabili grazie a uno speciale allestimento, mentre i locali ospiteranno una serie di attività tematiche (menù abbinati, degustazioni al calice ecc.) legate ai consorzi vinicoli di riferimento.
Dove&Quando: Milano, Palazzo Bovara e due distretti / 7- 14 ottobre / maggiori info e biglietti sul sito
Cibo, sake, manga, sport, tanti corsi e divertimento per celebrare la cultura e la tradizione giapponese! Questo weekend alla Fabbrica del Vapore a Milano, si potrà partecipare a lezioni per adulti e bambini di arti marziali, corsi di lingue e calligrafia giapponese, sessioni dedicate al rituale della vestizione del kimono, alle tecniche degli origami e laboratori di disegno e manga per avvicinarsi ancora di più alla cultura orientale. Per imparare a realizzare piatti tipici giapponesi come sushi e bento basterà iscriversi a uno dei corsi di cucina mentre saremo sorpresi dalla varietà dei sake approfittando delle degustazioni e dei corsi di specializzazione che si terranno durante le giornate dell’evento. Al Japan Festival si mangerà e si berrà giapponese grazie a ristoranti partner tra i più famosi a Milano.
Dove&Quando: Milano, La Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 / 5 – 8 ottobre / ingresso libero previa iscrizione gratuita all’associazione – per accedere alle aree del Festival il pubblico adulto dovrà acquistare al primo ingresso i sakecoin (unica forma di pagamento accettata al Japan Festival), per un valore di 10€, spendibili per consumazioni, acquisti di prodotti o corsi nell’arco dei quattro giorni a piacimento / maggiori info sul sito e su Facebook
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È l’«Equilibrio Sottile» di un ambiente incontaminato ed affascinante ma sempre più degradato e molestato dall’azione incurante dell’uomo, il tema scelto per la seconda edizione di «Fotografica. Festival di Fotografia Bergamo». Diciassette giorni di mostre fotografiche, incontri e dibattiti nella splendida cornice di Città Alta, con la partecipazione di fotografi di fama internazionale e di giovani emergenti.
Dove&Quando: Bergamo Alta, Chiostro ex Monastero del Carmine, via Colleoni / 27 ottobre – 11 novembre / apertura 01 novembre / maggiori info sul sito e su Facebook
Rivolto a chiunque abbia voglia di scegliere e toccare i fiori, abbinandoli tra loro, per imparare a conoscerne forme e colori e a realizzare un bel mazzo! Questa volta saranno utilizzati diversi tipi di bacche e fiori tipicamente autunnali. Si torna a casa con un bel mazzo di fiori! Il corso prevede un’introduzione teorica in cui verranno illustrati gli stili del mazzo legato attraverso slide e qualche dimostrazione pratica.
Dove&Quando: Milano, La Fioreria in Cascina Cuccagna, via privata Cuccagna ang. via Muratori / 27 ottobre / 11.30 – 13.30 / COSTO: €40, €35 per chi acquista il libro #Fattiilmazzo, €30 per chi viene a fare solo pratica, avendo già frequentato il workshop in passato / maggiori info su Facebook
Vintage, dischi, libri, arredamento, toys, sneakers, vecchie collezioni, second hand, oddities, videogames, bikes, design, illustrazioni and molto altro. Area vinili con la migliore selezione di dischi per ogni genere musicale direttamente dagli archivi dei collezionisti e area videogames con cabinati e console vintage dove giocare tutto il giorno come in sala giochi! Il Food Market si rinnova e si ingrandisce con proposte nuove ed internazionali: dalla caffetteria di East Market Diner, alle specialità della cucina americana , non mancheranno i sapori asiatici, le proposte per tutti i gusti e per tutte le esigenze dai carnivori ai vegani!
Dove&Quando: Milano, via Mecenate 84 / 28 ottobre / 10-21 / free entry / maggiori info su Facebook
23 mostre, oltre 50 ospiti, 4 weekend, 5 percorsi espositivi e il World.Report Award 2018 che si arricchisce di tre nuove sezioni. Ultima occasione per visitare la nona edizione del Festival della Fotografia Etica con incontri, letture portfolio, workshop, presentazione di libri, concerti e ovviamente tanto, tantissimo fotogiornalismo.
Dove&Quando: Lodi / fino al 28 ottobre / maggiori info sul sito e su Facebook
Questo weekend apre ufficialmente la Biblioteca degli Alberi, il nuovo parco pubblico di Milano nell’ambito del progetto urbanistico Porta Nuova. Anello di congiunzione fra gli spazi pubblici, le infrastrutture e le architetture dei quartieri circostanti, il parco collega Piazza Gae Aulenti al quartiere Isola, alla sopraelevata su Via Melchiorre Gioia, alla promenade verde di Varesine e al giardino di via de Castillia. La Biblioteca degli Alberi, progettata dalla paesaggista Petra Blaisse dello Studio Inside Outside, con i suoi quasi 10 ettari di estensione sarà il terzo parco pubblico più grande del centro di Milano.
Dove&Quando: Milano, Piazza Gae Aulenti / 27 ottobre / dalle 10 / maggiori info su Facebook
La mostra presenta un’ampia selezione di opere di Klee sul tema del “primitivismo”, con un’originale revisione di questo argomento che in Klee include sia epoche preclassiche dell’arte occidentale (come l’Egitto faraonico), sia epoche sino ad allora considerate “barbariche” o di decadenza, come l’arte tardo-antica, quella paleocristiana e copta, l’Alto Medioevo; sia infine l’arte africana, oceanica e amerindiana. Le sezioni in cui verrà suddivisa la mostra racconteranno questo processo di formazione artistica.
Dove&Quando: Milano, MUDEC Museo delle Culture, via Tortona 56 / dal 31 ottobre al 03 marzo 2019 / maggiori info sul sito e su Facebook
Una tour guidato alla scoperta dei fantasmi che infestano la città nella notte dei fantasmi e delle streghe, ma anche il racconto della vera storia di Halloween: origine di questa ricorrenza, tradizioni da tutto il mondo, leggende misteriose e particolari ritualità durante in periodo vittoriano. Milano e la festività dei morti nel passato e nel presente: tradizioni, dolci, leggende di una città apparentemente indifferente alla sfera esoterica, ma imperniata di riti superstiziosi e scaramantici. Un percorso guidato dal Castello Sforzesco all’Ossario di San Bernardino alla ricerca dei fantasmi della notte dei morti.
Dove&Quando: Milano, da piazza Castello / 31 ott / 20.00 e 23.30 / durata 2 ore e mezza / 15 euro a persona / prenotazione obbligatoria / maggiori info sul sito e su Facebook
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